Vincenzo Bellini nacque a Catania il 3 novembre 1801, figlio primogenito di Rosario, compositore, e di Agata Ferlito, appartenente a una famiglia di funzionari pubblici. Avendo dimostrato un precoce interesse per la musica, Bellini ricevette i primi insegnamenti di pianoforte e composizione rispettivamente dal padre e dal nonno paterno, Vincenzo Tobia, il quale godeva di una buona rinomanza locale come organista, compositore e insegnante. Verso i sei anni iniziò a scrivere musica, dapprima composizioni sacre con accompagnamento d’organo o orchestrale, poi, a partire dal 1810, soprattutto ariette e romanze per voce e pianoforte o arie con accompagnamento orchestrale, con le quali, grazie alla mediazione del nonno, iniziò a introdursi nell’ambiente della buona società catanese. Fu proprio con l’aiuto della nobiltà locale che nel 1819 Bellini ottenne una borsa di studio dal comune di Catania per completare la propria formazione musicale presso il Conservatorio di Napoli, dove si trasferì nel giugno dello stesso anno. Qui studiò con anziani esponenti della scuola napoletana (Giovanni Furno, Giacomo Tritto, Nicola Zingarelli), che gli insegnarono lo stile dell’opera tardosettecentesca: esercitarono un influsso particolare sul giovane Bellini le composizioni di Domenico Cimarosa e, soprattutto, di Giovanni Paisiello, la cui Nina, o sia La pazza per amore rappresentò per lui un modello per tutta la vita. Fondamentali per la sua formazione furono anche alcuni lavori strumentali di Franz Joseph Haydn e Wolfgang Amadeus Mozart, conservati in partitura presso la biblioteca del Conservatorio, nonché l’ascolto delle opere di Gioachino Rossini, allora dominanti nei teatri napoletani. Risalgono a questi anni composizioni sacre e strumentali scritte da Bellini nel contesto scolastico, mentre il suo nome iniziò a farsi conoscere in città attraverso la produzione di musica vocale da camera.
Terminati gli studi nel 1825, il compositore scrisse il suo primo lavoro teatrale, l’opera semiseria Adelson e Salvini, che fu interpretata dagli allievi del Conservatorio sulle scene del teatrino scolastico. Vista la riuscita della partitura, l’impresario Domenico Barbaja commissionò a Bellini un’opera seria per il Teatro San Carlo, Bianca e Fernando: il debutto avvenne il 30 maggio 1826 con il titolo mutato in Bianca e Gernando a causa di motivi politici. Il successo della rappresentazione indusse Barbaja a tentare il lancio del giovane compositore a Milano, proponendo che fosse scritturato al Teatro alla Scala per la stagione autunnale del 1827. Il 27 ottobre di quell’anno fu infatti presentato al pubblico milanese Il Pirata, il quale, accolto in maniera trionfale, segnò un punto di svolta nella carriera di Bellini: innanzitutto, cominciò qui il suo sodalizio con il librettista Felice Romani, all’epoca già affermato sulle scene italiane, con il quale avrebbe collaborato per tutte le successive opere eccetto l’ultima. Il successo de Il Pirata portò inoltre Bellini in lizza con nomi allora di grido, come Giovanni Pacini e Gaetano Donizetti, mentre la sua fama si diffuse in tutta Italia e all’estero (il lavoro fu ripreso a Vienna già nel 1828). Infine, a Milano il compositore potè stringere rapporti con personaggi importanti dell’ambiente teatrale, in particolare con il soprano Giuditta Pasta e l’editore Giovanni Ricordi, la cui casa di lì in seguito avrebbe pubblicato tutte le opere del catanese, ospitandone tutt’ora l’edizione critica.
Bellini risiedette a Milano fino al 1833: in questo lasso di tempo scrisse sei opere nuove, lavorò con Romani a un rifacimento di Bianca e Fernando, terminato nel 1828, e intraprese un progetto, presto abbandonato, su un libretto tratto dall’Hernani di Victor Hugo. Con La straniera, rappresentata per la prima volta alla Scala il 14 febbraio 1829, il successo di Bellini si rafforzò e il suo stile iniziò a essere preferito a quello di Rossini in virtù del carattere maggiormente innovativo. Dopo l’insuccesso della Zaira all’inaugurazione del Teatro Regio di Parma, il 16 maggio dello stesso anno, fu invece molto favorevole l’accoglienza riservata dal pubblico a I Capuleti e i Montecchi, andata in scena l’11 marzo 1830 presso il Teatro La Fenice di Venezia. Con La sonnanbula, in cartellone al Teatro Carcano di Milano a partire dal 6 marzo 1831, Bellini tornò nuovamente agli esiti trionfanti de Il Pirata e La straniera; ciò preparò la strada a Norma, commissionata al compositore per l’apertura della stagione di carnevale 1831-32 del Teatro alla Scala, dove debuttò il 26 dicembre. Malgrado la genesi lunga e accurata dell’opera, alla quale Bellini e Romani lavorarono in stretta collaborazione, il pubblico della première l’accolse senza entusiasmo, tuttavia nelle recite successive la reazione degli spettatori migliorò e presto Norma entrò nel novero dei capisaldi del teatro musicale ottocentesco.
Il fecondo sodalizio tra i due autori giunse a termine nel 1833 a causa dei disguidi causati dall’una e dall’altra parte durante la scrittura della loro ultima opera comune, Beatrice di Tenda, commissionata al compositore dal Teatro La Fenice di Venezia per la stagione del carnevale, nel cui ambito debuttò con scarso successo il 16 marzo dello stesso anno. Nel frattempo, Bellini si era risolto di tentare il rilancio della propria carriera sulle scene internazionali: nella primavera si spostò a Londra per rappresentare alcuni lavori al King’s Theatre (Il Pirata, Norma, I Capuleti e i Montecchi) e al Drury Lane Theatre (La Sonnambula), dopodiché in estate si trasferì a Parigi, dove allacciò subito stretti rapporti con Rossini, allora a capo del Théâtre-Italien. Nonostante questo importante contatto e le conoscenze fatte nell’ambiente artistico e culturale cittadino, per diversi mesi Bellini non ottenne alcuna nuova commissione, riuscendo solo a riproporre Il Pirata e I Capuleti e i Montecchi. L’occasione giunse finalmente nell’aprile 1834, quando fu incaricato di scrivere un’opera per il Théâtre-Italien. La scelta cadde sul dramma storico Têtes rondes et Cavaliers di Ancelot e Saintine (1833), dal quale il conte Carlo Pepoli trasse un libretto intitolato I Puritani: a causa dell’inesperienza di questi, un esule politico di buona cultura letteraria ma estraneo al mondo teatrale, la stesura del libretto fu tormentata, costringendo Bellini a intervenire di persona sul testo. Nella composizione della partitura egli investì un lavoro accurato, visibile in particolare nell’orchestrazione, condotto con l’obiettivo di adeguarsi alle aspettative e al gusto del pubblico parigino. Non stupisce, dunque, l’enorme successo riscosso da I Puritani fin dalla sua prima rappresentazione, avvenuta il 24 gennaio 1835; Bellini vide così aumentare sensibilmente l’interesse del mondo parigino nei suoi confronti e lo indusse sperare nell’assegnazione di un incarico all’Opéra.
Intenzionato a mantenere i contatti anche con i teatri italiani, nel corso dell’anno il compositore cercò di riappacificarsi con Romani, in modo da riprendere la loro vecchia collaborazione. I suoi progetti, tuttavia, erano destinati a non realizzarsi: nel settembre 1835 Bellini ebbe una ricaduta della malattia intestinale di cui soffriva da anni e morì il 23 dello stesso mese nella villetta da lui presa in affitto nel sobborgo di Puteaux. Sepolto nel cimitero monumentale di Père-Lachaise, nel 1876 il suo corpo fu trasportato a Catania e tumulato all’interno della cattedrale di Sant’Agata. Bellini godette di un’enorme fama nel corso dell’intero Ottocento e tutt’ora rappresenta uno dei capisaldi indiscussi del repertorio operistico internazionale. Apprezzato soprattutto per la sua vena lirica e per la struggente bellezza delle sue melodie, egli fu un autore teatrale pienamente consapevole dei propri mezzi ed obiettivi, non stancandosi mai di affinare le proprie tecniche compositive e di sviluppare oltre il proprio stile drammatico-musicale.
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Vincenzo Bellini nacque a Catania il 3 novembre 1801, figlio primogenito di Rosario, compositore, e di Agata Ferlito, appartenente a una famiglia di funzionari pubblici. Avendo dimostrato un precoce interesse per la musica, Bellini ricevette i primi insegnamenti di pianoforte e composizione rispettivamente dal padre e dal nonno paterno, Vincenzo Tobia, il quale godeva di una buona rinomanza locale come organista, compositore e insegnante. Verso i sei anni iniziò a scrivere musica, dapprima composizioni sacre con accompagnamento d’organo o orchestrale, poi, a partire dal 1810, soprattutto ariette e romanze per voce e pianoforte o arie con accompagnamento orchestrale, con le quali, grazie alla mediazione del nonno, iniziò a introdursi nell’ambiente della buona società catanese. Fu proprio con l’aiuto della nobiltà locale che nel 1819 Bellini ottenne una borsa di studio dal comune di Catania per completare la propria formazione musicale presso il Conservatorio di Napoli, dove si trasferì nel giugno dello stesso anno. Qui studiò con anziani esponenti della scuola napoletana (Giovanni Furno, Giacomo Tritto, Nicola Zingarelli), che gli insegnarono lo stile dell’opera tardosettecentesca: esercitarono un influsso particolare sul giovane Bellini le composizioni di Domenico Cimarosa e, soprattutto, di Giovanni Paisiello, la cui Nina, o sia La pazza per amore rappresentò per lui un modello per tutta la vita. Fondamentali per la sua formazione furono anche alcuni lavori strumentali di Franz Joseph Haydn e Wolfgang Amadeus Mozart, conservati in partitura presso la biblioteca del Conservatorio, nonché l’ascolto delle opere di Gioachino Rossini, allora dominanti nei teatri napoletani. Risalgono a questi anni composizioni sacre e strumentali scritte da Bellini nel contesto scolastico, mentre il suo nome iniziò a farsi conoscere in città attraverso la produzione di musica vocale da camera.
Terminati gli studi nel 1825, il compositore scrisse il suo primo lavoro teatrale, l’opera semiseria Adelson e Salvini, che fu interpretata dagli allievi del Conservatorio sulle scene del teatrino scolastico. Vista la riuscita della partitura, l’impresario Domenico Barbaja commissionò a Bellini un’opera seria per il Teatro San Carlo, Bianca e Fernando: il debutto avvenne il 30 maggio 1826 con il titolo mutato in Bianca e Gernando a causa di motivi politici. Il successo della rappresentazione indusse Barbaja a tentare il lancio del giovane compositore a Milano, proponendo che fosse scritturato al Teatro alla Scala per la stagione autunnale del 1827. Il 27 ottobre di quell’anno fu infatti presentato al pubblico milanese Il Pirata, il quale, accolto in maniera trionfale, segnò un punto di svolta nella carriera di Bellini: innanzitutto, cominciò qui il suo sodalizio con il librettista Felice Romani, all’epoca già affermato sulle scene italiane, con il quale avrebbe collaborato per tutte le successive opere eccetto l’ultima. Il successo de Il Pirata portò inoltre Bellini in lizza con nomi allora di grido, come Giovanni Pacini e Gaetano Donizetti, mentre la sua fama si diffuse in tutta Italia e all’estero (il lavoro fu ripreso a Vienna già nel 1828). Infine, a Milano il compositore potè stringere rapporti con personaggi importanti dell’ambiente teatrale, in particolare con il soprano Giuditta Pasta e l’editore Giovanni Ricordi, la cui casa di lì in seguito avrebbe pubblicato tutte le opere del catanese, ospitandone tutt’ora l’edizione critica.
Bellini risiedette a Milano fino al 1833: in questo lasso di tempo scrisse sei opere nuove, lavorò con Romani a un rifacimento di Bianca e Fernando, terminato nel 1828, e intraprese un progetto, presto abbandonato, su un libretto tratto dall’Hernani di Victor Hugo. Con La straniera, rappresentata per la prima volta alla Scala il 14 febbraio 1829, il successo di Bellini si rafforzò e il suo stile iniziò a essere preferito a quello di Rossini in virtù del carattere maggiormente innovativo. Dopo l’insuccesso della Zaira all’inaugurazione del Teatro Regio di Parma, il 16 maggio dello stesso anno, fu invece molto favorevole l’accoglienza riservata dal pubblico a I Capuleti e i Montecchi, andata in scena l’11 marzo 1830 presso il Teatro La Fenice di Venezia. Con La sonnanbula, in cartellone al Teatro Carcano di Milano a partire dal 6 marzo 1831, Bellini tornò nuovamente agli esiti trionfanti de Il Pirata e La straniera; ciò preparò la strada a Norma, commissionata al compositore per l’apertura della stagione di carnevale 1831-32 del Teatro alla Scala, dove debuttò il 26 dicembre. Malgrado la genesi lunga e accurata dell’opera, alla quale Bellini e Romani lavorarono in stretta collaborazione, il pubblico della première l’accolse senza entusiasmo, tuttavia nelle recite successive la reazione degli spettatori migliorò e presto Norma entrò nel novero dei capisaldi del teatro musicale ottocentesco.
Il fecondo sodalizio tra i due autori giunse a termine nel 1833 a causa dei disguidi causati dall’una e dall’altra parte durante la scrittura della loro ultima opera comune, Beatrice di Tenda, commissionata al compositore dal Teatro La Fenice di Venezia per la stagione del carnevale, nel cui ambito debuttò con scarso successo il 16 marzo dello stesso anno. Nel frattempo, Bellini si era risolto di tentare il rilancio della propria carriera sulle scene internazionali: nella primavera si spostò a Londra per rappresentare alcuni lavori al King’s Theatre (Il Pirata, Norma, I Capuleti e i Montecchi) e al Drury Lane Theatre (La Sonnambula), dopodiché in estate si trasferì a Parigi, dove allacciò subito stretti rapporti con Rossini, allora a capo del Théâtre-Italien. Nonostante questo importante contatto e le conoscenze fatte nell’ambiente artistico e culturale cittadino, per diversi mesi Bellini non ottenne alcuna nuova commissione, riuscendo solo a riproporre Il Pirata e I Capuleti e i Montecchi. L’occasione giunse finalmente nell’aprile 1834, quando fu incaricato di scrivere un’opera per il Théâtre-Italien. La scelta cadde sul dramma storico Têtes rondes et Cavaliers di Ancelot e Saintine (1833), dal quale il conte Carlo Pepoli trasse un libretto intitolato I Puritani: a causa dell’inesperienza di questi, un esule politico di buona cultura letteraria ma estraneo al mondo teatrale, la stesura del libretto fu tormentata, costringendo Bellini a intervenire di persona sul testo. Nella composizione della partitura egli investì un lavoro accurato, visibile in particolare nell’orchestrazione, condotto con l’obiettivo di adeguarsi alle aspettative e al gusto del pubblico parigino. Non stupisce, dunque, l’enorme successo riscosso da I Puritani fin dalla sua prima rappresentazione, avvenuta il 24 gennaio 1835; Bellini vide così aumentare sensibilmente l’interesse del mondo parigino nei suoi confronti e lo indusse sperare nell’assegnazione di un incarico all’Opéra.
Intenzionato a mantenere i contatti anche con i teatri italiani, nel corso dell’anno il compositore cercò di riappacificarsi con Romani, in modo da riprendere la loro vecchia collaborazione. I suoi progetti, tuttavia, erano destinati a non realizzarsi: nel settembre 1835 Bellini ebbe una ricaduta della malattia intestinale di cui soffriva da anni e morì il 23 dello stesso mese nella villetta da lui presa in affitto nel sobborgo di Puteaux. Sepolto nel cimitero monumentale di Père-Lachaise, nel 1876 il suo corpo fu trasportato a Catania e tumulato all’interno della cattedrale di Sant’Agata. Bellini godette di un’enorme fama nel corso dell’intero Ottocento e tutt’ora rappresenta uno dei capisaldi indiscussi del repertorio operistico internazionale. Apprezzato soprattutto per la sua vena lirica e per la struggente bellezza delle sue melodie, egli fu un autore teatrale pienamente consapevole dei propri mezzi ed obiettivi, non stancandosi mai di affinare le proprie tecniche compositive e di sviluppare oltre il proprio stile drammatico-musicale.
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Vincenzo Bellini nacque a Catania il 3 novembre 1801, figlio primogenito di Rosario, compositore, e di Agata Ferlito, appartenente a una famiglia di funzionari pubblici. Avendo dimostrato un precoce interesse per la musica, Bellini ricevette i primi insegnamenti di pianoforte e composizione rispettivamente dal padre e dal nonno paterno, Vincenzo Tobia, il quale godeva di una buona rinomanza locale come organista, compositore e insegnante. Verso i sei anni iniziò a scrivere musica, dapprima composizioni sacre con accompagnamento d’organo o orchestrale, poi, a partire dal 1810, soprattutto ariette e romanze per voce e pianoforte o arie con accompagnamento orchestrale, con le quali, grazie alla mediazione del nonno, iniziò a introdursi nell’ambiente della buona società catanese. Fu proprio con l’aiuto della nobiltà locale che nel 1819 Bellini ottenne una borsa di studio dal comune di Catania per completare la propria formazione musicale presso il Conservatorio di Napoli, dove si trasferì nel giugno dello stesso anno. Qui studiò con anziani esponenti della scuola napoletana (Giovanni Furno, Giacomo Tritto, Nicola Zingarelli), che gli insegnarono lo stile dell’opera tardosettecentesca: esercitarono un influsso particolare sul giovane Bellini le composizioni di Domenico Cimarosa e, soprattutto, di Giovanni Paisiello, la cui Nina, o sia La pazza per amore rappresentò per lui un modello per tutta la vita. Fondamentali per la sua formazione furono anche alcuni lavori strumentali di Franz Joseph Haydn e Wolfgang Amadeus Mozart, conservati in partitura presso la biblioteca del Conservatorio, nonché l’ascolto delle opere di Gioachino Rossini, allora dominanti nei teatri napoletani. Risalgono a questi anni composizioni sacre e strumentali scritte da Bellini nel contesto scolastico, mentre il suo nome iniziò a farsi conoscere in città attraverso la produzione di musica vocale da camera.
Terminati gli studi nel 1825, il compositore scrisse il suo primo lavoro teatrale, l’opera semiseria Adelson e Salvini, che fu interpretata dagli allievi del Conservatorio sulle scene del teatrino scolastico. Vista la riuscita della partitura, l’impresario Domenico Barbaja commissionò a Bellini un’opera seria per il Teatro San Carlo, Bianca e Fernando: il debutto avvenne il 30 maggio 1826 con il titolo mutato in Bianca e Gernando a causa di motivi politici. Il successo della rappresentazione indusse Barbaja a tentare il lancio del giovane compositore a Milano, proponendo che fosse scritturato al Teatro alla Scala per la stagione autunnale del 1827. Il 27 ottobre di quell’anno fu infatti presentato al pubblico milanese Il Pirata, il quale, accolto in maniera trionfale, segnò un punto di svolta nella carriera di Bellini: innanzitutto, cominciò qui il suo sodalizio con il librettista Felice Romani, all’epoca già affermato sulle scene italiane, con il quale avrebbe collaborato per tutte le successive opere eccetto l’ultima. Il successo de Il Pirata portò inoltre Bellini in lizza con nomi allora di grido, come Giovanni Pacini e Gaetano Donizetti, mentre la sua fama si diffuse in tutta Italia e all’estero (il lavoro fu ripreso a Vienna già nel 1828). Infine, a Milano il compositore potè stringere rapporti con personaggi importanti dell’ambiente teatrale, in particolare con il soprano Giuditta Pasta e l’editore Giovanni Ricordi, la cui casa di lì in seguito avrebbe pubblicato tutte le opere del catanese, ospitandone tutt’ora l’edizione critica.
Bellini risiedette a Milano fino al 1833: in questo lasso di tempo scrisse sei opere nuove, lavorò con Romani a un rifacimento di Bianca e Fernando, terminato nel 1828, e intraprese un progetto, presto abbandonato, su un libretto tratto dall’Hernani di Victor Hugo. Con La straniera, rappresentata per la prima volta alla Scala il 14 febbraio 1829, il successo di Bellini si rafforzò e il suo stile iniziò a essere preferito a quello di Rossini in virtù del carattere maggiormente innovativo. Dopo l’insuccesso della Zaira all’inaugurazione del Teatro Regio di Parma, il 16 maggio dello stesso anno, fu invece molto favorevole l’accoglienza riservata dal pubblico a I Capuleti e i Montecchi, andata in scena l’11 marzo 1830 presso il Teatro La Fenice di Venezia. Con La sonnanbula, in cartellone al Teatro Carcano di Milano a partire dal 6 marzo 1831, Bellini tornò nuovamente agli esiti trionfanti de Il Pirata e La straniera; ciò preparò la strada a Norma, commissionata al compositore per l’apertura della stagione di carnevale 1831-32 del Teatro alla Scala, dove debuttò il 26 dicembre. Malgrado la genesi lunga e accurata dell’opera, alla quale Bellini e Romani lavorarono in stretta collaborazione, il pubblico della première l’accolse senza entusiasmo, tuttavia nelle recite successive la reazione degli spettatori migliorò e presto Norma entrò nel novero dei capisaldi del teatro musicale ottocentesco.
Il fecondo sodalizio tra i due autori giunse a termine nel 1833 a causa dei disguidi causati dall’una e dall’altra parte durante la scrittura della loro ultima opera comune, Beatrice di Tenda, commissionata al compositore dal Teatro La Fenice di Venezia per la stagione del carnevale, nel cui ambito debuttò con scarso successo il 16 marzo dello stesso anno. Nel frattempo, Bellini si era risolto di tentare il rilancio della propria carriera sulle scene internazionali: nella primavera si spostò a Londra per rappresentare alcuni lavori al King’s Theatre (Il Pirata, Norma, I Capuleti e i Montecchi) e al Drury Lane Theatre (La Sonnambula), dopodiché in estate si trasferì a Parigi, dove allacciò subito stretti rapporti con Rossini, allora a capo del Théâtre-Italien. Nonostante questo importante contatto e le conoscenze fatte nell’ambiente artistico e culturale cittadino, per diversi mesi Bellini non ottenne alcuna nuova commissione, riuscendo solo a riproporre Il Pirata e I Capuleti e i Montecchi. L’occasione giunse finalmente nell’aprile 1834, quando fu incaricato di scrivere un’opera per il Théâtre-Italien. La scelta cadde sul dramma storico Têtes rondes et Cavaliers di Ancelot e Saintine (1833), dal quale il conte Carlo Pepoli trasse un libretto intitolato I Puritani: a causa dell’inesperienza di questi, un esule politico di buona cultura letteraria ma estraneo al mondo teatrale, la stesura del libretto fu tormentata, costringendo Bellini a intervenire di persona sul testo. Nella composizione della partitura egli investì un lavoro accurato, visibile in particolare nell’orchestrazione, condotto con l’obiettivo di adeguarsi alle aspettative e al gusto del pubblico parigino. Non stupisce, dunque, l’enorme successo riscosso da I Puritani fin dalla sua prima rappresentazione, avvenuta il 24 gennaio 1835; Bellini vide così aumentare sensibilmente l’interesse del mondo parigino nei suoi confronti e lo indusse sperare nell’assegnazione di un incarico all’Opéra.
Intenzionato a mantenere i contatti anche con i teatri italiani, nel corso dell’anno il compositore cercò di riappacificarsi con Romani, in modo da riprendere la loro vecchia collaborazione. I suoi progetti, tuttavia, erano destinati a non realizzarsi: nel settembre 1835 Bellini ebbe una ricaduta della malattia intestinale di cui soffriva da anni e morì il 23 dello stesso mese nella villetta da lui presa in affitto nel sobborgo di Puteaux. Sepolto nel cimitero monumentale di Père-Lachaise, nel 1876 il suo corpo fu trasportato a Catania e tumulato all’interno della cattedrale di Sant’Agata. Bellini godette di un’enorme fama nel corso dell’intero Ottocento e tutt’ora rappresenta uno dei capisaldi indiscussi del repertorio operistico internazionale. Apprezzato soprattutto per la sua vena lirica e per la struggente bellezza delle sue melodie, egli fu un autore teatrale pienamente consapevole dei propri mezzi ed obiettivi, non stancandosi mai di affinare le proprie tecniche compositive e di sviluppare oltre il proprio stile drammatico-musicale.
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