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Facchinetti, Giancarlo
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Giancarlo Facchinetti (Brescia4 aprile 1936 – Brescia6 giugno 2017) è stato un compositorepianista e direttore d’orchestra italiano oltre che insegnante e direttore di conservatorio.

Diplomato in pianofortecomposizione, direzione d’orchestra, musica corale e direzione di coro, studiò con Ada Carati, Bruno Bettinelli, Amerigo Bortone, Guido Farina e Antonino Votto. Figure determinanti per la sua formazione, sebbene non nella veste di insegnanti ufficiali, furono inoltre Franco Margola e Camillo Togni.

Pianista attivo anche in ambito cameristico – in particolare in duo con il violoncellista Luigi Bossoni – si dedicò prevalentemente alla composizione e alla direzione d’orchestra. Dopo aver diretto l’orchestra dell’istituto musicale “Venturi” di Brescia, che sarebbe poi diventato il Conservatorio “Luca Marenzio”, nel 1985 fondò l’Orchestra da Camera di Brescia, con la quale svolse intensa attività in Italia e all’estero. Fu tra i fondatori dell’Associazione Giovani Musicisti Contemporanei (GMC), presidente delle “Settimane Barocche” di Brescia, segretario del “Centro Studi Luca Marenzio” e membro della Deputazione del Teatro Grande di Brescia.

Come compositore, vinse concorsi nazionali ed internazionali, tra cui il premio “Viotti” del 1960.

Il suo catalogo, che comprende oltre trecento lavori, spazia dal repertorio sinfonico a quello cameristico, e comprende operine da camera, musiche di scena per spettacoli di prosa, musica sacra – fra cui Passio Christi, le opere La finta luna, su testo di Nanni Garella da un racconto di Jules Laforgue, e Il cavaliere genovese, su testo del fratello Alberto Facchinetti da un racconto di Heinrich von Kleist, la cantata scenica Viaggio musicale all’inferno, su libretto di Andrea Faini, le opere in un atto Sarà forse Maria e La sposa sull’acqua, entrambe su testo di Fernanda Calati. Le sue composizioni sono state eseguite alla Rai e in numerose città italiane ed europee. Ha pubblicato per gli editori Sonzogno[1], Eufonia, Oca del Cairo e Sonitus.

Fu inoltre docente nei Conservatori di ParmaVeronaBolzano e infine a Brescia, dove ricoprì l’incarico di direttore dal 1979 al 1981. Insegnò presso la Scuola Diocesana di musica “Santa Cecilia” di Brescia[2].

Tra i riconoscimenti che gli furono assegnati, la Medaglia d’Oro per meriti artistici conferita dal sindaco di Brescia nel 2006, il titolo di Accademico dell’Ateneo di Brescia e il premio Mauro Ranieri nel 2012. Nel 2018, il Comune di Brescia lo ha inserito nel Famedio del Cimitero Vantiniano tra i bresciani illustri[3].

Dopo una fase giovanile influenzata dallo stile di Béla Bartók e Sergej Prokof’ev, Facchinetti – soprattutto a causa dell’influenza di Togni e dopo l’ascolto del Wozzeck di Alban Berg – aderì alla scuola dodecafonica, contribuendo anche all’evoluzione di questo linguaggio con l’utilizzo delle micro-serie, sequenze ricavate dagli spazi esistenti tra le note della serie originale che consentono di ricreare temporanee aggregazioni tonali.

Malgrado l’adesione al linguaggio seriale, Facchinetti sviluppò nella sua opera un marcato eclettismo, mescolando influenze stilistiche molto diverse come il barocco, il melodramma ottocentesco, il jazz e il varietà. Ciò, in opposizione all’atteggiamento programmaticamente autoreferenziale di molti autori del Novecento, risponde all’esigenza di mantenere vivo un canale di comunicazione con l’ascoltatore, come ha scritto Renzo Cresti: «Per Facchinetti la musica deve essere comunque espressiva e l’espressività si basa sul dialogo, non solo dialogo tra le parti, ma anche tra compositore e pubblico».

 

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Giancarlo Facchinetti (Brescia4 aprile 1936 – Brescia6 giugno 2017) è stato un compositorepianista e direttore d’orchestra italiano oltre che insegnante e direttore di conservatorio.

Diplomato in pianofortecomposizione, direzione d’orchestra, musica corale e direzione di coro, studiò con Ada Carati, Bruno Bettinelli, Amerigo Bortone, Guido Farina e Antonino Votto. Figure determinanti per la sua formazione, sebbene non nella veste di insegnanti ufficiali, furono inoltre Franco Margola e Camillo Togni.

Pianista attivo anche in ambito cameristico – in particolare in duo con il violoncellista Luigi Bossoni – si dedicò prevalentemente alla composizione e alla direzione d’orchestra. Dopo aver diretto l’orchestra dell’istituto musicale “Venturi” di Brescia, che sarebbe poi diventato il Conservatorio “Luca Marenzio”, nel 1985 fondò l’Orchestra da Camera di Brescia, con la quale svolse intensa attività in Italia e all’estero. Fu tra i fondatori dell’Associazione Giovani Musicisti Contemporanei (GMC), presidente delle “Settimane Barocche” di Brescia, segretario del “Centro Studi Luca Marenzio” e membro della Deputazione del Teatro Grande di Brescia.

Come compositore, vinse concorsi nazionali ed internazionali, tra cui il premio “Viotti” del 1960.

Il suo catalogo, che comprende oltre trecento lavori, spazia dal repertorio sinfonico a quello cameristico, e comprende operine da camera, musiche di scena per spettacoli di prosa, musica sacra – fra cui Passio Christi, le opere La finta luna, su testo di Nanni Garella da un racconto di Jules Laforgue, e Il cavaliere genovese, su testo del fratello Alberto Facchinetti da un racconto di Heinrich von Kleist, la cantata scenica Viaggio musicale all’inferno, su libretto di Andrea Faini, le opere in un atto Sarà forse Maria e La sposa sull’acqua, entrambe su testo di Fernanda Calati. Le sue composizioni sono state eseguite alla Rai e in numerose città italiane ed europee. Ha pubblicato per gli editori Sonzogno[1], Eufonia, Oca del Cairo e Sonitus.

Fu inoltre docente nei Conservatori di ParmaVeronaBolzano e infine a Brescia, dove ricoprì l’incarico di direttore dal 1979 al 1981. Insegnò presso la Scuola Diocesana di musica “Santa Cecilia” di Brescia[2].

Tra i riconoscimenti che gli furono assegnati, la Medaglia d’Oro per meriti artistici conferita dal sindaco di Brescia nel 2006, il titolo di Accademico dell’Ateneo di Brescia e il premio Mauro Ranieri nel 2012. Nel 2018, il Comune di Brescia lo ha inserito nel Famedio del Cimitero Vantiniano tra i bresciani illustri[3].

Dopo una fase giovanile influenzata dallo stile di Béla Bartók e Sergej Prokof’ev, Facchinetti – soprattutto a causa dell’influenza di Togni e dopo l’ascolto del Wozzeck di Alban Berg – aderì alla scuola dodecafonica, contribuendo anche all’evoluzione di questo linguaggio con l’utilizzo delle micro-serie, sequenze ricavate dagli spazi esistenti tra le note della serie originale che consentono di ricreare temporanee aggregazioni tonali.

Malgrado l’adesione al linguaggio seriale, Facchinetti sviluppò nella sua opera un marcato eclettismo, mescolando influenze stilistiche molto diverse come il barocco, il melodramma ottocentesco, il jazz e il varietà. Ciò, in opposizione all’atteggiamento programmaticamente autoreferenziale di molti autori del Novecento, risponde all’esigenza di mantenere vivo un canale di comunicazione con l’ascoltatore, come ha scritto Renzo Cresti: «Per Facchinetti la musica deve essere comunque espressiva e l’espressività si basa sul dialogo, non solo dialogo tra le parti, ma anche tra compositore e pubblico».

 

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Diplomato in pianofortecomposizione, direzione d’orchestra, musica corale e direzione di coro, studiò con Ada Carati, Bruno Bettinelli, Amerigo Bortone, Guido Farina e Antonino Votto. Figure determinanti per la sua formazione, sebbene non nella veste di insegnanti ufficiali, furono inoltre Franco Margola e Camillo Togni.

Pianista attivo anche in ambito cameristico – in particolare in duo con il violoncellista Luigi Bossoni – si dedicò prevalentemente alla composizione e alla direzione d’orchestra. Dopo aver diretto l’orchestra dell’istituto musicale “Venturi” di Brescia, che sarebbe poi diventato il Conservatorio “Luca Marenzio”, nel 1985 fondò l’Orchestra da Camera di Brescia, con la quale svolse intensa attività in Italia e all’estero. Fu tra i fondatori dell’Associazione Giovani Musicisti Contemporanei (GMC), presidente delle “Settimane Barocche” di Brescia, segretario del “Centro Studi Luca Marenzio” e membro della Deputazione del Teatro Grande di Brescia.

Come compositore, vinse concorsi nazionali ed internazionali, tra cui il premio “Viotti” del 1960.

Il suo catalogo, che comprende oltre trecento lavori, spazia dal repertorio sinfonico a quello cameristico, e comprende operine da camera, musiche di scena per spettacoli di prosa, musica sacra – fra cui Passio Christi, le opere La finta luna, su testo di Nanni Garella da un racconto di Jules Laforgue, e Il cavaliere genovese, su testo del fratello Alberto Facchinetti da un racconto di Heinrich von Kleist, la cantata scenica Viaggio musicale all’inferno, su libretto di Andrea Faini, le opere in un atto Sarà forse Maria e La sposa sull’acqua, entrambe su testo di Fernanda Calati. Le sue composizioni sono state eseguite alla Rai e in numerose città italiane ed europee. Ha pubblicato per gli editori Sonzogno[1], Eufonia, Oca del Cairo e Sonitus.

Fu inoltre docente nei Conservatori di ParmaVeronaBolzano e infine a Brescia, dove ricoprì l’incarico di direttore dal 1979 al 1981. Insegnò presso la Scuola Diocesana di musica “Santa Cecilia” di Brescia[2].

Tra i riconoscimenti che gli furono assegnati, la Medaglia d’Oro per meriti artistici conferita dal sindaco di Brescia nel 2006, il titolo di Accademico dell’Ateneo di Brescia e il premio Mauro Ranieri nel 2012. Nel 2018, il Comune di Brescia lo ha inserito nel Famedio del Cimitero Vantiniano tra i bresciani illustri[3].

Dopo una fase giovanile influenzata dallo stile di Béla Bartók e Sergej Prokof’ev, Facchinetti – soprattutto a causa dell’influenza di Togni e dopo l’ascolto del Wozzeck di Alban Berg – aderì alla scuola dodecafonica, contribuendo anche all’evoluzione di questo linguaggio con l’utilizzo delle micro-serie, sequenze ricavate dagli spazi esistenti tra le note della serie originale che consentono di ricreare temporanee aggregazioni tonali.

Malgrado l’adesione al linguaggio seriale, Facchinetti sviluppò nella sua opera un marcato eclettismo, mescolando influenze stilistiche molto diverse come il barocco, il melodramma ottocentesco, il jazz e il varietà. Ciò, in opposizione all’atteggiamento programmaticamente autoreferenziale di molti autori del Novecento, risponde all’esigenza di mantenere vivo un canale di comunicazione con l’ascoltatore, come ha scritto Renzo Cresti: «Per Facchinetti la musica deve essere comunque espressiva e l’espressività si basa sul dialogo, non solo dialogo tra le parti, ma anche tra compositore e pubblico».

 

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