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Pergolesi, G. Battista
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Giovanni Battista Pergolesi nacque a Iesi il 4 gennaio 1710, terzo figlio di Francesco Andrea Draghi, un agronomo al servizio di un architetto militare. Grazie all’aiuto di alcuni nobili di Jesi, il giovane Pergolesi poté studiare dapprima nella città natale, poi presso il conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo a Napoli. Nel 1731 presentò il dramma sacro La conversione di San Guglielmo d’Aquitania; l’anno stesso esordì in teatro con Salustia, ma l’esito fu poco felice. Grande successo ebbe invece la sua prima opera buffa, Lo frate ‘nnamorato (1732), su libretto napoletano. Nel 1733 presentò al teatro di S. Bartolomeo Il prigionier superbo, i cui intermezzi, col titolo La serva padrona, ottennero un vero trionfo ed ebbero subito vita autonoma al di fuori del dramma cui erano destinati.

Nel 1734 fu la volta dell’Adriano in Siria, del quale furono ancora applauditi soprattutto gli intermezzi, Livietta e Tracollo. Nel 1735 Pergolesi si recò a Roma per darvi l’Olimpiade al Tor di Nona, apparentemente senza successo. Tornato a Napoli, ottenne il posto di organista soprannumerario della cappella regia. Nell’autunno del 1735 la sua ultima opera buffa, Il Flaminio, comparve al Teatro Nuovo. Invitato a scrivere uno Stabat Mater per una confraternita, sembra lo terminasse nel convento dei cappuccini di Pozzuoli, dove si era ritirato per curarsi la salute minata dalla tisi e dove morì, il 16 marzo 1736, all’età di appena 26 anni.

La fama quasi leggendaria di Pergolesi è legata soprattutto alla Serva padrona e si diffuse in tutta Europa a partire dall’esecuzione parigina del 1752, che scatenò la cosiddetta «querelle des bouffons» fra gli opposti schieramenti dei sostenitori dell’opera francese, che si riconoscevano in Jean-Philippe Rameau, e dei filoitaliani rappresentati dagli enciclopedisti. Al di là di questa celebre disputa, La serva padrona costituisce una tappa fondamentale nell’evoluzione del teatro musicale: con essa l’intermezzo si elevò a opera buffa, mentre le arie della sua breve partitura costituirono un modello per i decenni a venire.

Di minore importanza, ma sempre interessanti, sono le altre opere buffe e gli altri intermezzi di Pergolesi. La vena sentimentale che percorre Lo frate ‘nnammorato Il Flaminio fissò una delle caratteristiche dell’opera buffa, destinata a durare fino alla fine del Settecento. Di grande rilievo è, tra la musica sacra, lo Stabat Mater, una delle poche composizioni del Settecento italiane rimaste sempre in repertorio; scritto per soprano, contralto, archi e basso continuo, conobbe numerosissime trascrizioni, tra le quali alcune di importanti musicisti. Allo Stabat Mater si può accostare il Salve Regina in Do minore, il più tardo dei due rimastici. Risultano inoltre di Pergolesi, oltre ai lavori citati, un Concerto per violino, archi e continuo, quattro Sonate (due per organo, una per violoncello e una per violino e continuo), l’oratorio La Fenice sul rogo ovvero la morte di San Giuseppe, due Messe (in Re maggiore e in Fa maggiore), altri brani di musica sacra, alcune cantate e solfeggi.

 

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Giovanni Battista Pergolesi nacque a Iesi il 4 gennaio 1710, terzo figlio di Francesco Andrea Draghi, un agronomo al servizio di un architetto militare. Grazie all’aiuto di alcuni nobili di Jesi, il giovane Pergolesi poté studiare dapprima nella città natale, poi presso il conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo a Napoli. Nel 1731 presentò il dramma sacro La conversione di San Guglielmo d’Aquitania; l’anno stesso esordì in teatro con Salustia, ma l’esito fu poco felice. Grande successo ebbe invece la sua prima opera buffa, Lo frate ‘nnamorato (1732), su libretto napoletano. Nel 1733 presentò al teatro di S. Bartolomeo Il prigionier superbo, i cui intermezzi, col titolo La serva padrona, ottennero un vero trionfo ed ebbero subito vita autonoma al di fuori del dramma cui erano destinati.

Nel 1734 fu la volta dell’Adriano in Siria, del quale furono ancora applauditi soprattutto gli intermezzi, Livietta e Tracollo. Nel 1735 Pergolesi si recò a Roma per darvi l’Olimpiade al Tor di Nona, apparentemente senza successo. Tornato a Napoli, ottenne il posto di organista soprannumerario della cappella regia. Nell’autunno del 1735 la sua ultima opera buffa, Il Flaminio, comparve al Teatro Nuovo. Invitato a scrivere uno Stabat Mater per una confraternita, sembra lo terminasse nel convento dei cappuccini di Pozzuoli, dove si era ritirato per curarsi la salute minata dalla tisi e dove morì, il 16 marzo 1736, all’età di appena 26 anni.

La fama quasi leggendaria di Pergolesi è legata soprattutto alla Serva padrona e si diffuse in tutta Europa a partire dall’esecuzione parigina del 1752, che scatenò la cosiddetta «querelle des bouffons» fra gli opposti schieramenti dei sostenitori dell’opera francese, che si riconoscevano in Jean-Philippe Rameau, e dei filoitaliani rappresentati dagli enciclopedisti. Al di là di questa celebre disputa, La serva padrona costituisce una tappa fondamentale nell’evoluzione del teatro musicale: con essa l’intermezzo si elevò a opera buffa, mentre le arie della sua breve partitura costituirono un modello per i decenni a venire.

Di minore importanza, ma sempre interessanti, sono le altre opere buffe e gli altri intermezzi di Pergolesi. La vena sentimentale che percorre Lo frate ‘nnammorato Il Flaminio fissò una delle caratteristiche dell’opera buffa, destinata a durare fino alla fine del Settecento. Di grande rilievo è, tra la musica sacra, lo Stabat Mater, una delle poche composizioni del Settecento italiane rimaste sempre in repertorio; scritto per soprano, contralto, archi e basso continuo, conobbe numerosissime trascrizioni, tra le quali alcune di importanti musicisti. Allo Stabat Mater si può accostare il Salve Regina in Do minore, il più tardo dei due rimastici. Risultano inoltre di Pergolesi, oltre ai lavori citati, un Concerto per violino, archi e continuo, quattro Sonate (due per organo, una per violoncello e una per violino e continuo), l’oratorio La Fenice sul rogo ovvero la morte di San Giuseppe, due Messe (in Re maggiore e in Fa maggiore), altri brani di musica sacra, alcune cantate e solfeggi.

 

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Nel 1734 fu la volta dell’Adriano in Siria, del quale furono ancora applauditi soprattutto gli intermezzi, Livietta e Tracollo. Nel 1735 Pergolesi si recò a Roma per darvi l’Olimpiade al Tor di Nona, apparentemente senza successo. Tornato a Napoli, ottenne il posto di organista soprannumerario della cappella regia. Nell’autunno del 1735 la sua ultima opera buffa, Il Flaminio, comparve al Teatro Nuovo. Invitato a scrivere uno Stabat Mater per una confraternita, sembra lo terminasse nel convento dei cappuccini di Pozzuoli, dove si era ritirato per curarsi la salute minata dalla tisi e dove morì, il 16 marzo 1736, all’età di appena 26 anni.

La fama quasi leggendaria di Pergolesi è legata soprattutto alla Serva padrona e si diffuse in tutta Europa a partire dall’esecuzione parigina del 1752, che scatenò la cosiddetta «querelle des bouffons» fra gli opposti schieramenti dei sostenitori dell’opera francese, che si riconoscevano in Jean-Philippe Rameau, e dei filoitaliani rappresentati dagli enciclopedisti. Al di là di questa celebre disputa, La serva padrona costituisce una tappa fondamentale nell’evoluzione del teatro musicale: con essa l’intermezzo si elevò a opera buffa, mentre le arie della sua breve partitura costituirono un modello per i decenni a venire.

Di minore importanza, ma sempre interessanti, sono le altre opere buffe e gli altri intermezzi di Pergolesi. La vena sentimentale che percorre Lo frate ‘nnammorato Il Flaminio fissò una delle caratteristiche dell’opera buffa, destinata a durare fino alla fine del Settecento. Di grande rilievo è, tra la musica sacra, lo Stabat Mater, una delle poche composizioni del Settecento italiane rimaste sempre in repertorio; scritto per soprano, contralto, archi e basso continuo, conobbe numerosissime trascrizioni, tra le quali alcune di importanti musicisti. Allo Stabat Mater si può accostare il Salve Regina in Do minore, il più tardo dei due rimastici. Risultano inoltre di Pergolesi, oltre ai lavori citati, un Concerto per violino, archi e continuo, quattro Sonate (due per organo, una per violoncello e una per violino e continuo), l’oratorio La Fenice sul rogo ovvero la morte di San Giuseppe, due Messe (in Re maggiore e in Fa maggiore), altri brani di musica sacra, alcune cantate e solfeggi.

 

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